martedì 14 aprile 2015


EFFIMERI 
 Parque del Buen Retiro, Madrid

La finestra del visibile corrisponde a ciò che impressiona il nostro occhio, che è solo una minima parte rispetto all’esistente. Per comprendere il reale dobbiamo perciò crearne una rappresentazione attraverso le coordinate delle nostre facoltà.
La realtà che viviamo è quindi un’immagine generata della fantasia (phantasìa: potenza immaginativa e rappresentativa dell’anima).
La struttura del reale non sta solo nell’esperienza immediata delle cose e le nostre formulazioni spazio-temporali sono ugualmente un’immagine generata. Questo risulta quanto più vero nell’esperienza dell’opera che, pur non essendo riducibile alla sola finestra del visibile, è reale e le sue conseguenze esistono in potenza in ognuno di noi.
Questa mostra si pone oltre la finestra del visibile. È in un tempo altro perché, esattamente come fanno certi insetti, vive solo per poche ore entro le quali nasce, cresce, distende le membra, getta il seme e perisce, generando però effetti reali, impossibili da ascrivere in un tempo rilevabile.

Effimeri si apre nel Parque del Buen Retiro a Madrid, di fronte al Palacio de Velázquez, dove era in corso la mostra su Luciano Fabro.
I lavori stanno in una piccola area all’interno del parco e aprono immaginativamente lo spazio attraverso molteplici visioni. Per questa ragione è difficile trovare un inizio da cui partire per descrivere la mostra. Cominciando da un punto, seguendo un percorso circolare, su un albero si trova l’Effimero di Luciano Fabro, un semplice tondino di acciaio, il cui peso, per quanto lieve, lo fa leggermente inclinare. Questa evidenza svela il clinamen insito in tutte le cose. L’Effimero non solo è partecipe di questa tensione che muove tutto l’esistente ma ne è anche rivelatore. La sua semplice presenza scopre il movimento di tutto ciò che lo circonda: dell’albero su cui si trova, dei rami, delle foglie e realizza l’aspettativa che tutto prenda parte a questo moto.
Seguendo con lo sguardo l’inclinazione del tondino, a terra, si vede Segni di Diego Morandini, un mucchietto di scagliola su cui sono tracciati dei segni. Sembra scrittura fonetica ma è impronunciabile e illeggibile. Potrebbe essere la stilizzazione di un’immagine, come se riportasse la prova di un passaggio senza darne una rappresentazione. Come la scrittura pittografica riporta l’immagine di cose viste, così questi segni sono portatori di un passaggio che, essendo avvenuto in un tempo diverso, e forse lontano, risulta inafferrabile e quindi indecifrabile, ma fa desiderare di colmare in qualche modo la distanza che ci separa da quel momento.  
Su un albero, poco dietro Segni, si trova Eco di Claudio Citterio. Si tratta di una carta fotografica impressionata, al centro verde che sfuma con il bianco e marrone agli estremi, dove non è stata sviluppata. La curvatura della carta si armonizza naturalmente con la luce e diventa sia corteccia che fogliame. Il colore si unisce all’intorno e crea una visione completa e indivisibile. Come l’esistente tende naturalmente all’unità così il nostro sguardo vuole legare tutto (anche il visibile con l’invisibile), senza rotture, allo stesso modo in cui un frammento suscita l’insieme.
Proseguendo, messo su un albero come se qualcuno avesse staccato un pezzo di scorza rivelandone l’interno, si vede Variazioni sulle ali di Nicole Bacchiega, lavoro formato dalla sovrapposizione di due strati di carta dorata che riduce all’essenziale l’immagine delle ali e ne decodifica il senso. La stratigrafia delle ali corrisponde al modo che ha la natura di modificarsi, strato su strato, mantenendo la memoria strutturale di ogni trasformazione. Variazione sulle ali è memoria di luce e ci fa muovere in uno spazio luminoso che si apre potenzialmente ovunque.
Posizionato a terra, tra i due alberi più grandi, si trova Secondo le mie indicazioni di Domenico Laterza, lavoro realizzato attraverso il calco dell’indice dell’artista su carta stagnola in modo da creare una serie di elementi, che indicano varie direzioni e sembrano quasi degli organismi marini. L’opera realizza un inaspettato rimescolamento direzionale, che corrisponde/risponde a questo altrove percepibile ma intangibile, che non ferma mai la visione in un’unica situazione e, come l’Effimero, richiama il moto continuo della natura.
Continuando il percorso, sempre a terra, si trova Due lenti per una visione di Giuseppe De Siati, lavoro composto da due lenti concave tenute assieme da una molla metallica. L’opera attira lo sguardo attraverso continui riflessi e, con un’osservazione più ravvicinata, appare la sua plasticità prodotta per effetto della luce. Le lenti concentrano i raggi luminosi e li fanno divergere formando un’immagine virtuale del cielo e delle foglie.
Tornando al punto di partenza, sui rami dello stesso albero su cui sta l’Effimero, scendono dei fili che stanno fuori dalla portata visiva, si tratta di Sentinelle di Gianluca Zonca. Quest’opera  affiora attraverso un contatto corporale. Passando per quel punto si sente qualcosa che ci sfiora con un leggero tocco, rivelandosi e svelandoci l’invisibile. È come se salisse in superficie anche per renderci consci della nostra presenza in quel luogo.


Benedetta Marangoni