martedì 29 gennaio 2019

CONTEMPO

 
CASA DEGLI ARTISTI – MILANO
CONTEMPO
CORTE CASA PERABO' / VARESE 19 01 2019

Per entrare nella corte di Casa Perabo' si attraversa la “camera picta”, uno spazio caratterizzato da un dipinto cinquecentesco che ricopre per intero il soffitto. Al centro è rappresentata Melpomene, musa del canto e della tragedia della mitologia greca. In corrispondenza, sul lastricato, c'è l'opera (1997-2012) di Diego Morandini: un frammento di lastra di pietra su cui sono incisi dei segni, crudi. Non sono disegni, non sono scrittura e non sono simboli: l'opera è un confine. Corrisponde a quel punto (momento) che sfuma tra una cosa e l'altra e impedisce di aggrapparci ad una possibile interpretazione. Ci resta solo l'evidenza dei “segni”, forse una testimonianza che qualcuno ha voluto lasciarci. Per questo l'opera è un frammento perché porta con sé la fragilità di un momento che sembra sfuggirci. Come quando, passeggiando per il centro varesino, capita inaspettatamente di imbatterci in un dipinto cinquecentesco che ci svela l'immagine di un mito antico e ci spinge a cercare di afferrare qualcosa che inevitabilmente rimane lontano.
All'interno di Corte Perabò troviamo Cronodemografia (2013) di Claudio Citterio . Dei quadrati di polistirene con stampa digitale a colori che formano un rettangolo sul ciottolato. È un fermo immagine a cui si ridà movimento entrandoci dentro e spostando i pezzi, in quanto uno è mancante, ricomponendo una nuova cromia in base al percorso che si fa. Entrando nell'opera se ne modificano i colori, ma questa variazione cromatica si può cogliere solo dall'alto. In un momento diverso, anche lontano dall'azione compiuta. Ci svela che il nostro passaggio porta sempre con sé un mutamento delle cose, che normalmente ci è impercettibile, ma l'opera lo rende visibile, perché lo porta in un tempo potenzialmente dilatato anche se non nell'immediato percepibile: come intuisce Hawking in un tempo immaginario perpendicolare a quello dell'esperienza, in potenza infinito.
Proseguendo, guardando in alto, intercettiamo Crepuscolare (2016) di Gianluca Zonca . Due fasce di retina, da una parte nere e dall'altra bianche, tra il nostro sguardo e il cielo. Il cielo ci risulta come setacciato e il nostro sguardo non riesce a mettere a fuoco: la vibrazione che ne deriva si ferma solo nella fenditura tra i due piani, dove il colore si concentra ed emerge più intenso.
Si prosegue la mostra salendo le scale interne e uscendo sui due ordini di ballatoi al primo e secondo piano, il movimento attivato precedemente dallo spettatore in Cronodemografia assume così un nuovo significato. Ma è anche attraverso il setaccio di Crepuscolare, che ci appare un'inaspettata visione.
Nel percorrere il primo ballatoio si incontra Luna di Diego Morandini (2006). Si tratta di una lastra di pietra con una faccia più liscia, con piccoli solchi tracciati nel tempo dall'acqua, e l'altra scabrosa, “spaccata” da un'altra pietra, come la superficie lunare vista da vicino.

La mostra organizza una visione dis-piegata in diverse prospettive verticali e coni prospettici in cui lo spettatore è coinvolto e presente.