CASA DEGLI ARTISTI – MILANO
CONTEMPO
CORTE CASA PERABO' / VARESE 19 01 2019
Per
entrare nella corte di Casa Perabo' si attraversa la “camera
picta”,
uno spazio caratterizzato da un dipinto cinquecentesco che ricopre
per intero il soffitto. Al centro è rappresentata Melpomene,
musa del canto e della tragedia della mitologia greca. In
corrispondenza, sul lastricato, c'è l'opera (1997-2012) di Diego
Morandini: un frammento di lastra di pietra su cui sono incisi dei
segni, crudi. Non sono disegni, non sono scrittura e non sono
simboli: l'opera è un confine. Corrisponde a quel punto (momento)
che sfuma tra una cosa e l'altra e impedisce di aggrapparci ad una
possibile interpretazione. Ci resta solo l'evidenza dei “segni”,
forse una testimonianza che qualcuno ha voluto lasciarci. Per questo
l'opera
è
un frammento perché porta con sé la fragilità di un momento che
sembra sfuggirci. Come quando, passeggiando per il centro varesino,
capita inaspettatamente di imbatterci in un dipinto cinquecentesco
che ci svela l'immagine di un mito antico e ci spinge a cercare di
afferrare qualcosa che inevitabilmente rimane lontano.
All'interno
di Corte Perabò troviamo Cronodemografia
(2013)
di Claudio Citterio . Dei quadrati di polistirene con stampa digitale
a colori che formano un rettangolo sul ciottolato. È un fermo
immagine a cui si ridà movimento entrandoci dentro e spostando i
pezzi, in quanto uno è mancante, ricomponendo una nuova cromia in
base al percorso che si fa. Entrando nell'opera se ne modificano i
colori, ma questa variazione cromatica si può cogliere solo
dall'alto. In un momento diverso, anche lontano dall'azione compiuta.
Ci svela che il nostro passaggio porta sempre con sé un mutamento
delle cose, che normalmente ci è impercettibile, ma l'opera lo rende
visibile, perché lo porta in un tempo potenzialmente dilatato anche
se non nell'immediato percepibile: come intuisce Hawking in un tempo
immaginario perpendicolare a quello dell'esperienza, in potenza
infinito.
Proseguendo,
guardando in alto, intercettiamo Crepuscolare
(2016)
di
Gianluca Zonca . Due fasce di retina, da una parte nere e dall'altra
bianche, tra il nostro sguardo e il cielo. Il cielo ci risulta come
setacciato e il nostro sguardo non riesce a mettere a fuoco: la
vibrazione che ne deriva si ferma solo nella fenditura tra i due
piani, dove il colore si concentra ed emerge più intenso.
Si
prosegue la mostra salendo le scale interne e uscendo sui due ordini
di ballatoi al primo e secondo piano, il movimento attivato
precedemente dallo spettatore in Cronodemografia
assume così un nuovo significato. Ma è anche attraverso il
setaccio di Crepuscolare,
che ci appare un'inaspettata visione.
Nel
percorrere il primo ballatoio si incontra Luna
di
Diego Morandini (2006). Si tratta di una lastra di pietra con una
faccia più liscia, con piccoli solchi tracciati nel tempo
dall'acqua, e l'altra scabrosa, “spaccata” da un'altra pietra,
come la superficie lunare vista da vicino.
La mostra organizza una visione dis-piegata in diverse
prospettive verticali e coni prospettici in cui lo spettatore è
coinvolto e presente.